Pubblico gran parte del discorso del Presidente del Consiglio degli studenti M. Peruzzo, durante l’inagurazione del 787° anno accademico dell’Università di Padova, lunedì 9 marzo. Un esempio di maturità e saggezza della Padova che non c’è più!
Magnifico rettore, autorità , signore e signori,
vorrei accennare a due temi che hanno strettamente a che fare con l’anno galileiano che celebriamo e che a noi studenti interessano molto: la libertà e la laicità .
Padova, questa università che fin dalle sue origini si colloca in una regione cattolica, è sempre stata un centro di libertà e di laicità . A Padova gli esuli religiosi e politici hanno sempre trovato asilo. A Padova a partire dal medioevo le nationes degli studenti rappresentavano un esempio di feconda convivenza multietnica. A Padova nel medioevo e nel rinascimento gli aristotelici poco allineati con le teorie cattoliche potevano esprimere liberamente il loro pensiero sull’immortalità dell’anima, magari rifugiandosi dietro l’artificio della citazione. A Padova fin dal Cinquecento circolavano gli scritti dei Riformatori, scritti che peraltro spesso venivano stampati a Venezia.
A Padova quattro secoli fa, nel 1609, Galileo Galilei, che dal 1592 qui insegnava sotto il controllo della Serenissima Repubblica di San Marco, perfezionò la sua invenzione, il telescopio, che gli servì per scoprire i quattro satelliti di Giove, le fasi di Venere e le macchie solari. I guai per lui cominciarono altrove, quando tornò a Pisa e poi a Roma. Ma, come ha scritto di recente lo storico Franco Cardini, «se fosse rimasto in terra di San Marco, avrebbe potuto evitare la dolorosa esperienza di rispondere dinanzi al Sant’Uffizio dell’accusa di eresia, che toccò profondamente la sua coscienza di credente: anche se ad essa sopravvisse per un decennio».
Galileo era un credente e insieme un grande laico. Aveva molto chiara la distinzione tra fede e scienza. Era un uomo di fede che vedeva la natura come un libro il cui autore è Dio. In un suo celebre passo, affermava: «Mi par che nelle dispute di problemi naturali non si dovrebbe cominciare dalle autorità di luoghi delle Scritture, ma dalle sensate esperienze e dalle dimostrazioni necessarie, (…) procedendo di pari dal Verbo divino la Scrittura Sacra e la natura, quella come dettatura dello Spirito Santo, e questa come osservantissima esecutrice de gli ordini di Dio».
Un’altra frase altrettanto celebre recita così: «Io qui direi quello che intesi da persona ecclesiastica costituita in eminentissimo grado, (il cardinal Baronio) ciò è l’intenzione dello Spirito Santo essere d’insegnarci come si vada al cielo, e non come vada il cielo» . La natura per Galileo è un libro la cui storia, la cui evoluzione, la cui scrittura e il cui significato ‘leggiamo’ secondo i diversi approcci delle scienze.
Perché dico queste cose? Perché credo che l’anniversario galileiano è un’ottima occasione per imparare tutti in università ad essere più laici e più liberi.
Laicità significa anzitutto stima della coscienza, dell’intelligenza, dell’autonomia, della capacità di ognuno di ritrovare in sé dei criteri di giudizio originali, di saper esercitare il pensiero.
Libertà non significa essere tutti uguali in astratto. E’ la possibilità di esprimere la propria originale posizione come un contributo che arricchisce tutti.
Nei giorni scorsi si è discusso a lungo in università e sui giornali locali di questi argomenti. E’ una discussione importante ed è giusto che sia stata aperta. Io credo che proprio in università sia importante che tutti, nel rispetto reciproco, possano avere possibilità di espressione e che a nessuno sia negato di portare il proprio contributo.
Laicità significa avere fiducia nella coscienza, nella capacità di chi ascolta di formarsi autonomamente un giudizio su chi parla. Il primo giudice è la coscienza di chi ascolta. E questo giudizio viene ancor prima della possibilità di un dibattito, che rappresenta peraltro sempre un importante modalità di crescita culturale.
La coscienza è una dimensione sacra della persona umana che noi dobbiamo rispettare, credenti o no. Hermann Goering aveva detto del suo capo: «Io non ho nessuna coscienza! La mia coscienza è Adolf Hitler». Mi piace qui contrapporre a questa frase la famosa espressione del cardinale Newman, cattolicissimo e obbedientissimo al papa: «Io brindo al papa, ma prima ancora brindo alla coscienza».
La possibilità per tutti di potersi esprimere è fondamentale. Oggi per esempio abbiamo tra noi un’autorevole scienziata come Margherita Hack, che ammiro molto per il suo profilo scientifico e delle cui idee su altri argomenti condivido ben poco. Ma sono lietissimo che ci possa portare la sua esperienza, come sono lietissimo di poter ascoltare l’esperienza del professor Francesco Bertola.
Nei giorni scorsi fuori dal Liviano c’era una scritta: «Fisichella non sei gradito». Io penso che dobbiamo leggere quella scritta, rivolta all’attuale rettore dell’Università Lateranense, autore di importanti pubblicazioni scientifiche in tema etico, astraendo dal soggetto, come il paradigma di ciò che non vorremmo mai leggere, soprattutto in università , come se qualcuno scrivesse «Margherita Hack non sei gradita», «Jan Hus non sei gradito», «Galileo non sei gradito».
Dicendo queste cose non sto andando fuori tema. Dobbiamo dire chiaro e forte che la libertà di ricerca, di insegnamento, di intervento, di coscienza è il contributo più grande e più specifico della nostra università . L’università di Padova ancor prima del 1222 non è nata per un decreto statale, ma da un gruppo di studenti che sono liberamente andati a cercarsi dei docenti. Leggete qualsiasi storia della nostra università , scoprirete che contribuì in quel periodo anche un esodo di professori e studenti allontanatisi da Bologna per «le gravi offese ivi arrecate alla libertà accademica e per la inosservanza dei privilegi solennemente garantiti a docenti e discenti». A Padova l’Università non sorge, come altre Università , «ex privilegio», cioè per speciale licenza di pontefice o imperatore, ma come «il prodotto spontaneo di particolari contingenze e felici condizioni di civile cultura, che ne favorirono la costituzione». E’ il nostro dna. Un’università fatta di mille vincoli, costrizioni, piccole censure al pensiero dell’altro perché ritenuto «di parte», per quanto sempre a fin di bene naturalmente, non è più un’università : è un’accademia, un circolo, un laboratorio, una fabbrica di cervelli, quel che volete.
Allora a questo punto il problema è: quali sono le condizioni che facilitano lo sviluppo libero della personalità , della mia umanità di studente, anche all’università ?
Scusate se uso una parola poco usuale. La prima condizione è una concezione comunitaria della vita universitaria, una concezione che non vede cioè studenti, docenti, personale, come controparti, ma che si alimenta del rapporto tra studente e docente. Il rapporto tra chi insegna e chi apprende è un metodo di conoscenza vero e proprio, non solo un accidente che può accadere o no.
In secondo luogo, lo dico alla vigilia di un’importante consultazione studentesca universitaria, non ci può essere libertà senza una vitalità studentesca genuina. Le presenze di associazioni e realtà studentesche hanno un ruolo educativo nel senso alto del termine, non solo politico o ricreativo. Tocqueville al proposito diceva che la democrazia americana si giovava dell’intensa vita sociale dei cittadini americani.
In questo momento di passaggio, in cui l’università si prepara a cambiare il suo governo, questo è il messaggio che vogliamo lasciare al nuovo rettore, chiunque sia. Rispetti la libertà e la laicità dell’ateneo. Non voglia omologare tutti. Non sia ricordato come un censore. Apprezzi l’iniziativa, la capacità di mettersi in gioco, la voglia di partecipare degli studenti. Rovesci la prospettiva: non pensi a loro come a utenti finali, a destinatari di un servizio, ma a protagonisti della vita dell’ateneo (…)
Vi ringrazio.
10
mar
Chissà sia vero che, dai resti di questo medioevo, i nostri
figli – perchè sono i nostri figli – abbiano ricavato una coscienza,
una libertà di pensiero, una imparzialità , una apertura mentale , una
visione prospettica del futuro che permetta loro di ricavare il meglio
dell’ingegno umano senza sprofondare in estremismi, massificazioni,
chiusure.
Chissà che possano uscire a riveder le stelle, quelle reali
e quelle metaforiche, del pensiero , del cuore , delle nostre radici
religiose e non.